Manlio Corselli
Docente universitario Università degli Studi di Palermo, Componente Comitato Scientifico Associazione FuturLab
—
Nel processo di razionalizzazione delle forme del mondo, la modernità politica, economica e sociale non può fare a meno di specifiche organizzazioni e di apparati di uffici in funzione di supporto delle istituzioni pubbliche e private. La burocrazia, pertanto, rappresenta una nota caratteristica e costante della nostra epoca storica e, pur senza volere postularla come ineluttabile per un futuro sociale che sarà più o meno prossimo, costituisce uno dei pilastri necessari sia delle attività di governo a diversi livelli sia delle attività di intrapresa a vario ambito di azione.
Sulla burocrazia aleggia tuttavia, nel comune sentire, un certo pregiudizio residuale che appare piuttosto essere un retaggio di tempi e di società passate in cui essa aveva le sembianze di un corpo professionale autoreferenziale legittimato da regimi di stampo autoritario.
Non è un caso che la tipica burocrazia ottocentesca della Francia napoleonica, post napoleonica e della Germania guglielmina sia stata oggetto di critica per una sua eccessiva propensione verso il formalismo e per la spiccata tendenza corporativistica, controbilanciata, pur tuttavia, dal generale apprezzamento per l’efficienza delle prestazioni di servizio effettuate dai suoi componenti i quali, per quanto riguarda il lavoro svolto nella pubblica amministrazione, venivano qualificati ed onorati come autentici servitori dello stato.
Non si è salvato neppure da una valutazione negativa il nuovo modello della burocrazia sovietica di stampo leninista che è stato accusato da alcuni esponenti di rilievo del marxismo rivoluzionario, quali la Luxemburg e Trotskij, di comprimere l’energia politica rivoluzionaria del proletariato operaio imbrigliandone la vitalità nelle strutture d’apparato del partito comunista dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
La burocrazia, secondo questa interpretazione che confutava radicalmente il ruolo assegnatole nella concezione politica leninista del partito e dello stato, appariva estranea non solo alla realizzazione del nuovo sistema ma anche poco utile per il successo del processo rivoluzionario e addirittura nemica del suo vero spirito.
Tuttavia proprio la burocrazia di stampo leninista è stata per quasi otto decenni l’intelaiatura del comunismo reale, da un lato come un indispensabile strumento di sostegno e di controllo di una economia statalizzata e pianificata e dall’altro come zelante puntello di un regime totalitario e poliziesco, addirittura fino a indebolire la linea concettuale divisoria esistente fra il potere di decisione politica e il potere degli uffici, il quale è, appunto, di mera esecuzione delle deliberazioni.
La statalizzazione e la pianificazione operata dal bolscevismo aveva dato luogo fin dalle prime battute ad una burocrazia che Kautsky non aveva esitato a definire dispotica, creando una classe di funzionari altrettanto dispoticamente privilegiati in quel senso per cui, come rilevava Trotskij, essa si coagulava, a livello di sottostruttura, in uno strato sociale dominante l’intero sistema.
A causa degli effetti congiunti dello statalismo e della collettivizzazione dei mezzi di produzione, si erano pure congiunte ‒ come aveva notato Kautsky in un suo scritto del 1919 Terrorismus und Kommunismus ‒ la burocrazia pubblica e quella privata, o per meglio dire si erano unificati i due sistemi burocratici, che tradizionalmente vigevano in maniera funzionalmente distinta nel quadro del sistema politico liberaldemocratici ed in quello delle economie di mercato, in ciò che concretamente era infine diventato capitalismo e pianificazione di stato. La Rivoluzione bolscevica, fondendo i due tipi di burocrazia, aveva generato un nuovo tipo di burocrazia non più dipendente dalla struttura dello stato borghese e neppure dagli interessi del capitalismo della borghesia. Era nata una nuova e moderna oligarchia.
Questo nuovo tipo di burocrazia sarebbe stato il garante della corretta costruzione del comunismo, ma non si sarebbe mai scrollato di dosso il giudizio di essere una rinnovata struttura antidemocratica di dominio produttrice di disfunzionalità amministrativa, proiettando, durante tutto il secolo scorso, una sinistra immagine sulla stesso spirito razionale che legittima la natura e il compito della burocrazia in altri regimi politici e contesti sociali.
Rispetto alla ricostruzione delle forme storiche assunte dalla burocrazia negli ultimi due secoli, la descrizione idealtipica weberiana ne tratteggia meglio lo spirito e l’etica, non però nel senso di una sua rappresentazione utopica, cioè del come vorremmo che fosse, ma in quello della delucidazione dei suoi caratteri essenziali, tenendo comunque ben fermo il concetto che essa va considerata e studiata, senza dubbio, come la variante moderna della risoluzione delle problematiche generali poste dall’organizzazione della amministrazione pubblica e privata.
Max Weber, come si sa, riconduceva il principio di legittimità dell’organizzazione burocratica a quel tipo puro di dominio che lui denominava “legale”, il quale è imperniato, per un verso, su un ordinamento di norme legali formali e impersonali e, per altro verso, è coadiuvato da un apparato il cui personale non detiene a titolo patrimoniale l’ufficio ma è reclutato sulla base della valutazione del possesso di specifiche qualifiche tecniche. Con ciò si garantiscono la certezza delle procedure, che adesso non sono più dipendenti da regole di arbitrio, la selezione del personale d’ufficio mediante un accertamento di qualità e, non per ultimo, la neutralità professionale dei prestatori d’opera. Si afferma, così, il principio del ‘buon andamento amministrativo’.
Questo modello, che non nega la tendenza dello spirito del tempo a concentrare in tutti i sistemi organizzativi sia pubblici che privati i mezzi di amministrazione, si presenta abbastanza congruente con alcuni principi etici della democrazia, per i quali ha valore l’eguaglianza dell’accesso agli uffici, l’eliminazione degli ostacoli di reclutamento, l’allargamento dei requisiti della preparazione meramente specialistica a favore di un approccio alla gestione che prenda in considerazione anche valutazioni di risoluzioni equitative.
Inoltre è pur vero che questo tipo di modello di burocrazia mostra di possedere una perfetta compatibilità con una importante esigenza portata avanti da una sempre più avvertita domanda della cittadinanza, la quale richiede la trasparenza degli atti e delle procedure, non escluso, a sua tutela, il ricorso alla figura del difensore civico.
Oggi, infatti, per l’amministrazione razionale delle organizzazioni pubbliche e private costituisce un interesse non secondario di efficienza, oltre che di immagine, l’instaurare un rapporto fiduciario con l’utenza del pubblico, di rimuoverne gli atteggiamenti di diffidenza che spesso sorgono nei suoi confronti, di rispondere positivamente alle richieste di delucidazioni e semplificazioni.
Si può sicuramente sostenere che una moderna burocrazia vicina alla cittadinanza debba operare in un’ottica di compliance, con una particolare attenzione a comportamenti adatti a prevenire le problematiche che possono insorgere. Una burocrazia di tal genere avrebbe il pregio di assicurare ai cittadini garanzie di informazione, con lo scopo costante di attenuare e prevenire i rischi di impresa, di gestione, di contrattazione e di malgoverno amministrativo. Funzione di conformità, governance, risk management, divengono, al giorno d’oggi, gli elementi cardine a cui deve accostarsi l’azione amministrativa anche della sfera pubblica.